Posted: Aprile 28th, 2013 | Author: cauz | Filed under: larsen | Tags: bloom, dave grohl, king buzzo, krist novoselic, kurt cobain, Melvins, nirvana, palatrussardi, teenager, trevor dunn, zero2 | Commenti disabilitati su [Zero2] Melvins Lite. Primo maggio. Bloom.
Per tutti i milanesi nati a fine anni 70, ogni concerto dei Melvins è un modo per riparare a una storica distrazione. Avremmo potuto vederli al loro apice, ma non ce li siamo cacati. Era il ‘94, in un Palatrussardi stra-pieno: agli occhi di noi teenager, King Buzzo sembrava un ciccione capellone qualunque e i Melvins erano solo la spalla dei Nirvana. Vent’anni dopo: Cobain è morto, Novoselic veste cravatte e Grohl ha fatto overdose di chewing-gum. I Melvins, invece, sono ancora lì a menare resistenti al tempo che passa, tra concerti fulminanti e dischi discutibili (l’ultimo, “Everybody Loves Sausages”). Per la fortuna nostra e dei teenager di oggi.
Melvins lite, mercoledì 01 maggio, Bloom, Mezzago.
Posted: Settembre 30th, 2011 | Author: cauz | Filed under: larsen, succede che..., time stands still, videre | Tags: alive, blood, boom gaspar, dave abbruzzese, dave krusen, eddie vedder, generazione X, grunge, jeff ament, kurt cobain, leash, matt cameron, mike mcready, nirvana, notte rock, pearl jam, pj20, riot, seattle, sound of seattle, soundgarden, stone gossard, x-factor | Commenti disabilitati su drop the leash
Non sono passati 20 anni, ma quasi. La musica in televisione di spazio non ne aveva granché nemmeno allora, ma forse qualche minuto in più sgomitando riusciva a conquistarselo. Insomma, non erano ancora tempi di fattori X e Lady Gagas. C’era un programma che si chiamava “Notte Rock”, andava in onda in orari da segaioli su uno dei primi due canali Rai, quale non ricordo. Una trasmissione che finì malissimo come tutte le altre, con un’edizione condotta addirittura da don Mazzi in diretta dalla sua comunità, che parlava di come la MMusica possa aiutare i GGiovani e tenerli lontani dalla DDroga.
“Notte Rock” mandava un sacco di musica di merda, ma era quello che passava il convento, e così era diventata un’abitudine mettere regolarmente il timer e vedere il programma il giorno successivo… e un giorno passarono un video bellissimo. Era un video in bianco e nero e non mostrava altro che una band che suonava (o fingeva di suonare) un pezzo fighissimo, che partiva lento e poi saliva con un ritornello trascinante, con impennate liriche, con un tessuto di chitarre ’70s che reggevano una voce impetuosa. Erano i Pearl Jam; il pezzo era “Alive”, ovviamente. E ricordo ancora oggi che nella mia ingenua mente di pre-adolescente quel pezzo mi dava una carica micidiale, ma soprattutto mi diceva delle cose importanti: mi diceva che il mondo del rock’n’roll stava cambiando, che c’era qualcosa di nuovo che covava la’ sotto… e quel qualcosa di nuovo era un calcio in faccia all’hard rock che avevamo conosciuto fino ad allora, in quei pochi anni dell’età dello sviluppo, in quella parentesi piccola -ma grande rispetto alla storia del rock- che si era sviluppata dall’ondata del punk. Era una novità che ci interrogava tutti, lì stava il bello: ci diceva che una nuova rivoluzione nel rock, non stilistica ma intimamente di vita (di attitudine, diremmo oggi), stava nascendo, e toccava a noi. Toccava, per la prima volta, le generazioni che si affacciavano vergini agli anni ’90, decise a riprendersi il proprio mondo a morsi.
Quella fu una rivoluzione sociale, non artistica, fu un rigurgito di ribellione che durò il tempo della fiammata del sound of Seattle, ma che contribuì a seminare una coscienza ribelle che sarebbe esplosa alla fine di quel decennio, quella stessa coscienza destinata a muovere i fuochi della stessa città della west coast (guarda il caso) e poi incamminarsi sulle strade di Genova.
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