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[Zero2] Jazzmi 2025

Posted: Ottobre 8th, 2025 | Author: | Filed under: larsen | Tags: , , | No Comments »

Parcheggi abusivi, applausi abusivi. Appalti truccati, trapianti truccati e motorini truccati. Sono trascorsi 30 anni dalla dirompente Terra dei cachi di Elio e le Storie Tese, eppure a rileggerne l’incipit oggi sembra ancora una descrizione accurata della Milano del 2025, forse con solo le e-bike al posto dei motorini, strumento di lavoro essenziale di chi è costretto da una “città che corre” a correre ben più veloce delle proprie possibilità. Non ci voleva molto, a dire il vero, a ipotizzare la direzione distruttiva imboccata dalla città con il passaggio di secolo, e non ci voleva molto a vedere i frutti di questo vorace estrattivismo espulsivo, ma ora che è sotto gli occhi di tutti, ora che i cittadini si sono visti scippati addirittura del loro storico stadio, vale la pena ancora una volta ripensare a ciò che si è continuato a muovere sotto – o di fianco – allo spesso strato di cemento e lamiera che ha strangolato Milano. E se in vetrina luccicano insostenibili torri olimpiche, sommersa dal fragore degli applausi abusivi c’è ancora tanta musica che si agita, scalcia, a suo modo resiste. Porta “fiori, fiori dappertutto”, come si annuncia nella sua nuova edizione JAZZMI, una rassegna arrivata al suo anno dieci, ed è un traguardo clamoroso se si pensa al decennio durissimo attraversato da Milano.

Dieci anni sono una cifra matura per un festival. È l’età in cui lo slancio rivoluzionario giovanile lascia definitivamente il passo all’età adulta, quella fatta di abitudini e di piccole comodità. Con una rara dose di saggezza, JAZZMI non rinnega questo aspetto dell’invecchiamento e non ha paura alcuna di sedersi nelle sue zone di comfort, ma anche in quelle, vuoi per una scintilla, vuoi per un bicchiere di troppo, capita di voler ribaltare tutto e di spalancare le finestre alla più sporca contaminazione. Se ci pensate bene, la storia stessa del jazz non è andata poi troppo diversamente. E il bello è che quando la finestra la spalanchi non sai mai cosa arriverà, magari un alito di vento o magari un energico fragore.

Ci sono tanti nomi a cui siamo abituati a JAZZMI o sulle strade più convenzionali del jazz: andiamoli a sentire perché sanno ormai bene che corde toccare. Ma ci sono anche nomi diversi, sgattaiolati dentro da pertugi e finestre inattese, e come sempre sono soprattutto questi i concerti a cui affidarsi, perché magari deludono ma è assai più facile che scatenino il vero stupore. Torniamo a farci stregare il cuore, come ogni volta, dai Necks, da Shabaka, dai Kokoroko o da Marc Ribot. Facciamoci la nostra doverosa dose di sculettamento con Flying Lotus, Durand Bernarr, Takuya Kuroda o Bilal. Ma soprattutto spalanchiamo le nostre finestre allo stupore con chi ci viene regalato da JAZZMI e poi chissà quando ci ricapita. Leggende come Orchestra Baobab, Abdullah Ibrahim, Huun Huur Tu e Arrested Development; maestri come Anouar Brahem o il trio L’Antidote; nuovi viaggioni come Amaro Freitas (se non il disco più bello dello scorso anno, poco ci manca), Nubya Garcia, Mammal Hands, C’mon Tigre o Yuuf. Quanti problemi irrisolti, diceva sempre quel brano, ma un cuore grande così. Un cuore vecchio dieci anni, ma talmente in forma che chissà quanti ne ha ancora davanti.


[Zero2] Necks. 1 dicembre. Teatro 89.

Posted: Novembre 30th, 2023 | Author: | Filed under: larsen | Tags: , , , , , | Commenti disabilitati su [Zero2] Necks. 1 dicembre. Teatro 89.

Ho comprato il biglietto per questo concerto di dicembre in un pomeriggio afoso della scorsa estate. È molto raro che io mi muova con così tanti mesi di anticipo, ma è ancora più rara, diciamo sicuramente unica, l’occasione di un concerto dei Necks a dieci minuti da casa. Nei loro 36 anni di storia, i tre australiani sono passati in Italia con il contagocce, da Milano, a occhio e croce, direi mai. Per sentirli dal vivo ho sempre dovuto passare troppe ore in autobus, in treno, nelle code degli aeroporti, ma ne è sempre valsa la pena. Forse era persino giusto, per un gruppo che viene da oltre sedicimila chilometri di distanza (per quanto due su tre siano ormai stabilmente di casa in Europa).

Che questo articoletto sembri uscito da un catalogo di un’agenzia di trasporti lo si può giustificare facilmente con il fatto che l’ultimo album del trio si intitola “Travel” e rappresenta effettivamente una sorta di viaggio. Ci vuole poco, tutte le volte che i tre si mettono a suonare comincia un viaggio. Comincia da zero, da prima che esista la musica, e arriva a infinito, nel senso che non arriva da nessuna parte. I Necks ogni volta che suonano si perdono. E lo stesso capita a me ogni volta che li ascolto. Durante quell’ora, suppergiù, può accadere letteralmente di tutto e quel tutto sarà presto scomposto e sopraffatto dal suono, infine dimenticato. Quello che succede a un concerto dei Necks resta a un concerto dei Necks, quindi che senso ha parlarne qui, ora, quando tutto ciò che rimane da fare è accaparrarsi uno degli ultimi biglietti e non perderseli, meglio perdersi.