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[bikeit] 2013, L’assalto al cielo

Posted: Febbraio 7th, 2014 | Author: | Filed under: pedallica | Tags: , , , , , , , , , , , , , , | Commenti disabilitati su [bikeit] 2013, L’assalto al cielo

e_t__flying_bicycle_by_poonpoon20-d54kg3cL’essenza del ciclismo, non mi stancherò mai di ripeterlo, sta nello sguardo e nella circolarità del colpo di pedale. Ci sono chilometri e chilometri di strade, di parquet e di pavè, di sassi e di fango, che scorrono sotto le ruote dei ciclismi tutti durante l’anno. E poi ci sono dei gesti, quelli che danno vigore e nobiltà a questo sport, degli “assalti al cielo” che elevano tutto ciò alla dimensione della storia. Il ciclismo è fatto di gesti. E il divano è il luogo ideale da cui ammirarli, e sognarli.

La nuova stagione ciclistica su strada arranca in questi giorni nelle sue prime gare. Quelle su pista e fango accelerano verso le agognate vacanze. Di mezzo c’è l’eredità di un 2013 lungo e strano, e di cinque momenti, folli azioni e geniali idee, che quest’annata ci lascia impresse nella memoria.

5 Vincenzo Nibali. 11 marzo. Porto Sant’Elpidio.
Chiunque abbia l’abitudine a pedalare, sa bene quanto la pioggia sia una cattiva compagna. Chi osserva il ciclismo da un caldo divano, sa invece quanto la stessa pioggia possa essere foriera di ribaltamenti ed emozioni in una gara. Se poi questa pioggia cade sul corridore numero uno al mondo, Chris Froome, e su uno dei suoi rivali più creativi, Vincenzo Nibali, tutto può accadere. E a Porto S.Elpidio è successo davvero tutto, complice il diluvio, complici i muri marchigiani, complice questo nuovo Nibali, finalmente maturo, consapevole che una gara non finisce se non sulla linea bianca. Una tappa col coltello tra i denti, in cui Nibali e Sagan fan saltare la classifica della Tirreno e la leggenda dell’imbattibilità di Froome, in cui mezzo gruppo perde settimane di sonno per la sofferenza, in cui si scrive una storia di ciclismo che si pensava fosse roba da libri ingialliti.

4 Taylor Phinney. 31 luglio. Katowice.
Quel giorno, a Porto S.Elpidio, Taylor Phinney arrivò da solo, distaccato, fradicio e fuori tempo massimo. Ma ci tenne ugualmente a portarla a termine la tappa, conscio di quanto fatica e fortuna vadano a braccetto nel mestiere del corridore. Che una fatica del genere l’abbia fatta un ragazzo come Phinney non stupisce, un corridore crescito nell’inseguimento, a sfidare il legno dei velodromi e il fruscio del vento. Lo stesso che deve essergli passato tra le orecchie nel caldo pomeriggio dell’estate polacca. Il vento che passa e ti dice: “fottitene, vai!”, e Phinney lo ascolta. 8 km pancia a terra, qualcosa di eternamente più lungo dell’attacco di un finisseur, il doppio di una gara di inseguimento. Gli ultimi 2 km li fa senza mai girarsi indietro, perchè sa chec’è un gruppo stirato, pancia a terra, che l’ha messo nel mirino con qualche squalo australiano pronto a vincere la volata. E che resterà a bocca asciutta, perchè Phinney sublima il suo gioiello di potenza girandosi solo a 10 metri dal traguardo: guarda negli occhi i velocisti allo spasimo dello sforzo, allarga le braccia, ed esausto sorride.

3 Sven Nys. 2 febbraio. Louisville.
La mia carta di identità mi impedisce di aver visto Bartali, Merckx o Hinault… Ho iniziato a seguire il ciclismo dopo tutti i Campionissimi. Ok, ho visto Bugno e Armstrong, Pantani e Museeuw… un sacco di corridori fenomenali, ma il più grande di tutti l’ho visto macinare fango. E lo vedo ancora, ogni giorno: Sven Nys, che sia o non sia il più grande ciclocrossista di tutti i tempi, ha sempre avuto una maledizione con una sola gara, il mondiale. A Louisville la situazione pareva ancor drammatica: con la gara anticipata di un giorno per un lago prossimo all’esondazione e un’ondata di gelo da far tremare. Nulla che potesse preoccupare la festa di alcoolica follia programmata a bordo tracciato. Nulla che potesse impensierire il glaciale Cannibale di Baal, che libero da ogni sfiga si lascia andare ad una gara di cristallina purezza. A tutta sin dall’avvio, sgretola gli avversari uno dopo l’altro mentre l’acqua del lago sale a metà dei tronchi degli alberi. Gli resta solo il buon Vantornout, che finisce eliminato dall’ultima accelerata incastrandosi confuso in una transenna. “Ah, Klaas, what are you doin’?” è l’esclamazione che lancia #Svenness nella leggenda: un ghigno infangato sotto la nevicata che si infittisce, come vuole la poesia, a sublimare un’ora di potenza accecante.

2 Tony Martin. 29 agosto. Caceres.
Da qualche anno, la Vuelta è un terreno di allenamento, dove i corridori vanno a “farsi la gamba” in prospettiva-mondiale. Tutti, pure quelli che puntano al mondiale a cronometro, per il quale però la gamba va provata, prendendosi il vento in faccia. Tony Martin, un armadio tedesco con un nome da pornodivo anni ‘80, è il cronoman più forte del mondo e la maglia iridata la veste da due anni: sulla strada verso il terzo oro ha scelto questa giornata per stare a menare al vento. Parte al mattino, da solo, col caldo. Poi succede qualcosa, succede che il gruppo è già in acido lattico mentre Martin va come un treno, fatto sta che da dietro non riescono a guadagnare granchè e lui davanti si fa una mezza idea che potrebbe anche vincerla la tappa. Non ci riuscirà, ma dopo aver paralizzato cuori (e imballato twitter) per un’ora. Tutto il mondo sostiene un’impresa che non arriva, perchè proprio sul rettilineo finale spunta Cancellara, quello che i mondiali da Martin li perde, egocentrico e spocchioso, che pur di dare un dispiacere al tedesco fa una trenata per riportargli il gruppo sotto e lanciar la volata. Il nome del vincitore è insignificante. La vittoria sta in quei 175 km di orgoglio che sono l’impresa individuale più bella dell’anno.

1 Team Saxo Bank. 12 luglio. Saint-Amand-Montrond
Già, perchè il gesto più bello della stagione non l’ha fatto un uomo singolo, ma l’ha fatto una squadra, con un’intelligenza e un’attenzione da risultare un vero e proprio con-dividuo. Non c’è stato bisogno di parole, tra i corridori della Saxo, in quel pomeriggio di luglio, c’è stato semplicemente un clic collettivo nelle loro teste, uno sguardo e via a menare. L’essenza del ciclismo, per l’appunto. Un corpo unico fatto da un gruppo di compagni di squadra e un vento, nemmeno troppo forte, ma laterale e bastardo. Gli Sky si disperdono un attimo, i Movistar sono colpiti dalla sfiga, e -zac!- il signor Saxo, alveare di gambe, occhi e teste, si lancia avanti compatto, una frustata di quà e una mazzata di là e spezza il gruppo e il Tour stesso. Seguono 31 km di cronosquadra, che non basteranno affatto a Contador per vincere il Tour, ma saranno sufficienti per far alzare dal divano il pubblico di tutto il mondo, e per dire che anche nel Ciclismo, come in ogni esercizio creativo, la perfezione nasce dalla condivisione.


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