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[Zero2] Idris Ackamoor & The Pyramids. 28 marzo. teatro 89. (ANNULLATO)

Posted: Marzo 1st, 2024 | Author: | Filed under: larsen | Tags: , , , , , , , , , , , , | No Comments »

Sun Ra è risalito sulla sua navicella ultraterrena il 30 maggio di 30 anni fa e da allora ci sentiamo tutti un po’ più soli. Sbagliando, perché Sun Ra ci ha lasciato tanta, tantissima musica, e con quella non si è in fondo così soli; ma soprattutto perché con il suo volo è tornato a far splendere sulle Piramidi d’Egitto il più incandescente degli astri: quello che illumina i geni e gli sciroccati. Il misticismo delle Piramidi ci ha donato la conoscenza di numerosi culti ancestrali, lo studio dei geroglifici e l’alchimia, così come il periodo egizio degli Iron Maiden, il ciclo di Stargate (ovvero l’altro telefilm col tizio di McGyver) e Voyager di Roberto Giacobbo. In mezzo a tutto ciò, perché genio e follia procedono sempre a braccetto, ci sono Idris Ackamoor & The Pyramids, progetto nato nominalmente negli anni ’70 all’interno dell’ensemble di Cacil Taylor, ma che in realtà è nell’ultimo decennio che ha trovato il proprio slancio più creativo, potente e iperspaziale, complice l’incontro con la londinese Strut, ormai etichetta di riferimento per tutto ciò che si muovo sotto la sabbia dell’afrobeat. L’ultimo lavoro si chiama “Afro Futuristic Dreams”, che è il titolo che dovrebbe avere ogni disco di questo genere, tanto non è mica nel titolo, nella copertina, nella superficie della piramide che si celano i misteri, ma nelle sue viscere. E per scoprire quelle mi sa che i dischi servono proprio a poco, occorre la compresenza nella stessa stanza, il volume alto, l’allineamento degli astri, la connessione mentale con gli spiriti dell’aldilà, il fango limaccioso del Nilo, un coccodrillo antropomorfo con uno scettro di giada in mano… e ovviamente un sacerdote. Eccolo.

 

 

 


[Zero2] S/v/n Mash 2017. Posti vari. 29 novembre – 3 dicembre

Posted: Novembre 29th, 2017 | Author: | Filed under: larsen | Tags: , , , , , , , , , , , , | Commenti disabilitati su [Zero2] S/v/n Mash 2017. Posti vari. 29 novembre – 3 dicembre

Il problema con MASH è che ogni volta che lo sento nominare penso al film, M*A*S*H*. Un problema non da poco, perché le due cose non c’entrano nulla. Almeno apparentemente. “Mash” è il termine inglese per dire “poltiglia”, e il festival si propone come una mistura di suoni che si ottiene prendendo linguaggi e creatività di latitudini differenti, schiacciandoli insieme nella stessa bacinella e mescolandoli con quel grande minipimer che è la globalizzazione. Che infatti parla inglese. MASH (il festival) però sta ben distante dal voler forzare questa poltiglia ad approccio globale, ma ne segue il dilagare come un virus esistenziale, smontando con i decibel una muraglia di neo-colonialismo che riconosce l’ibridazione dei suoni solo quando è funzionale a rafforzare il decadente ruolo gerarchico del “primo mondo”. Un approccio dissacrante, eretico, come quello del film di Altman, che dell’esercito coloniale per eccellenza ne fece un teatro comico, dove i fantasmi del Vietnam si agitavano sullo sfondo. Quest’anno MASH fa il record di trasversalità: 5 luoghi diversi, tra spazi ben noti e angoli inediti; oltre 20 artisti da 5 continenti diversi, tra nomi ben noti e incontri inediti. Due notti che più discordanti non potevano esserci: una coi colori dell’Asia, dall’Indonesia (il “metal” degli otto Karinding​ ​Attack​) al Giappone (Keiko​ ​Higuchi​ ​+​ ​Louis​ ​Inage​) passando per il Libano di Rabih​ Beaini, che però ormai gioca in casa; l’altra buttandosi in profondità nel sottosuolo del Cairo, dove una scena elettronica vivace elabora suoni resistenti per sopravvivere a una rivoluzione fallita (con l’all in tutto egiziano di Nur, Kareem​ ​Lotfy​, 1127​, Zuli, JellyZone​, Bosaina e Abdullah Miniawy). E poi la ricerca cinematica degli “Hibridos” di Vincent Moon, il trasognante incontro fra Nicola Ratti e il collettivo Discipula e la performance a/v del producer domenicano Kelman Duran, che ha raccontato la rivoluzione di Haiti in 1804 KIDS, licenziato da Hundebiss ad agosto. A chiudere tutto l’atteso ritorno dello straordinario duo Native Instrument, che spinge la contaminazione molto oltre il genere umano, e due concerti dalla Svezia che riportano Savana in uno spazio “di culto”, il Tempio civico di San Sebastiano: quello site specific di ​Ellen​ ​Arkbro,​ con l’organo ibridato con l’elettronica per amplificarne l’estensione, e la performance vocale di Sofia​ ​Jernberg​. Se non esce una gran mistura da questo, significa che il minipimer non funziona. Il prossimo passo, per evitare di confondermi, sarebbe solo cambiare nome. Se “Poltiglia” è poco ammiccante, si può cambiare lingua ogni anno: nel 2018 “Mezcla”.

 

S/V/N Mash. da mercoledì 29 novembre a domenica 03 dicembre. luoghi vari. prezzi vari.


[Zero2] La Piramide di Sangue. 21 marzo. 75beat.

Posted: Marzo 17th, 2014 | Author: | Filed under: larsen | Tags: , , , , , , , , , | Commenti disabilitati su [Zero2] La Piramide di Sangue. 21 marzo. 75beat.

La Piramide di Sangue è un monumento che non si trova sulle guide turistiche: una storia che appartiene agli enigmi della Sfinge, un tempio di vasi sanguigni e nervi le cui fondamenta stanno piantate dalle parti di Atlantide, mentre i suoi lati scivolano sotto il Sahara, il Mediterraneo e gli Appennini, fino a sbucare a Torino con il pennone della Mole che punta dritto verso Venere. Qui non si celebra Anubi né Osiride, forse giusto Ra nel caso di nome faccia Sun. E con lui le antiche divinità kraute dell’ipnosi e i dolci incantamenti dei pirati mediorientali, avventurieri di un mondo capovolto, di mille rivoli psichedelici che armoniosamente trovano la strada della superficie.

La Società Psychedelica presenta: La Piramide di Sangue. venerdì 21 marzo. arci 75beat. 5 euri.